DIETRO "IL CASO DELLA GIOVANE LARA"



Racconto Il caso della giovane Lara




Il titolo sembra un po' della serie "non aprite quella porta". Cosa c'e' dietro "il caso della giovane Lara"? E si, e' come aprire una porta per vedere cosa nasconde. Sara' capitato un po' a tutti, immagino, di trovarsi di fronte ad una porta "misteriosa" e di volerla aprire. Che fosse quella di una cantina, di una stanza, di una casa abbandonata o di un casolare vuoto in aperta campagna.

E cosi' e' stato per me. Ho lasciato che la porta si aprisse per entrare nel suo mondo. Non posso rivelare la sua identita', naturalmente, ma posso raccontarvi qualcosa in piu' su di lei. Una donna bellissima che ha scelto di indossare i panni della mistress e di cibarsi di giovani fanciulle perche' disgustata dagli uomini. Da suo padre, per primo, un alcolista. Un uomo che, racconta trattenendo le lacrime, ha lasciato che donne e uomini prendessero possesso del suo corpo. E quindi della sua anima.

Allora le ho chiesto, con la spontaneita' di una ragazzina, come avesse potuto poi ripetere ogni abuso subito, seppur mischiato al godimento, su altre giovani donne e quindi su se stessa. Perche' quel manico, che l'aveva sfondata e martoriata, poteva affondare di nuovo le sue carni e affondare quella di altre come lei?

Non sarebbe stato piu' facile o logico fuggire da tutto questo e ribellarsi, magari scappando? Certo, non subito, ma una volta libera, una volta presa la decisione di non voler essere piu' schiava, perche' trasformarsi in padrona e ricominciare tutto, dalla parte opposta? dalla parte dell'aguzzino?

Lei racconta, come una volta, tornata da scuola, le sue padrone la obbligassero a mangiare sul pavimento, in una ciotola per cani. Sono flash che le affollano la mente. Eppure e' come una droga per lei. Ora tocca alle sue schiave mangiare gli avanzi sul pavimento, quelli che lei getta a terra, dopo essersi saziata.

No, dovevo capire di piu'. La sua esperienza, la sua storia, mi avevano veramente colpita. Mi mancava, come dire, quel po' di scienza, di studio, di ricerca, di osservazioni, con cui poter dare una forma piu' distinta al tutto.

E cosi' ho scoperto che ci sono casi in cui chi ha subito l'abuso tende a ripeterlo su un'altra persona oppure ad assumere comportamenti che richiamano l'altro sessualmente, che lo seducono. Ci sono pero' casi in cui la ripetitivita' dell'esperienza non e' agita solo come autore ma anche come vittima. Che significa questo? che chi ha subito la violenza potrebbe ripeterla trasformandosi in abusatore oppure, in altri casi, continuare ad essere abusato.

Attenzione, si noti che si parla di tendenza, non di regola certa e definita. Ognuno di noi reagisce in base a criteri strettamente soggettivi, quindi cio' che vale per uno non e' detto che valga per tutti.

Vi sono molestatori quindi che, come e' noto, sono stati a loro volta molestati e tramite il meccanismo d'identificazione con l'aggressore, ripetono l'abuso, in uno sporadico sforzo di controllare tale evento traumatico. Tramite la ripetizione dell'atto, esercitano un controllo sullo stesso. In questo modo cercano di combattere o negare i propri sentimenti di impotenza e di umiliazione, rimpiazzandoli con sentimenti di onnipotenza. In poche parole assumono il ruolo del potente. Inoltre l'atto sessuale violento rappresenta un'espressione di rabbia contro l'aggressore.

Ma veniamo nello specifico al caso delle donne. Tra coloro che sono autrici di abusi, e' stato visto che una perentuale tra il 50% e il 90% aveva subito violenza sessuale durante l'infanzia.

Lara mi confessa come sia stata iniziata al sesso dal padre. Questo mi ha spinta a sondare un po' la letteratura sull'incesto, scoprendo che, nella maggior parte dei casi, l'abusante e' il padre e la vittima la figlia. Pero' non vorrei aprire qui un altro capitolo, quello sull'incesto. Potrei trattarlo in separata sede.

Vorrei piuttosto condividere con i miei lettori, o chi di passaggio, quello che ho appreso da sbirciatine su siti e libri vari, riguardo al tema della ripetizione della violenza sessuale.

Alcune persone, ad esempio, ricreano il trauma verso se stesse o verso gli altri. Sembra infatti che alcune vittime di violenza sessuale, soprattutto incesto, finiscano per prostituirsi o per avere rapporti promiscui.

E' il caso di Marta, abusata a 7 anni. Ovviamente uso un nome di fantasia per garantirle l'anonimato. Nel suo racconto spiega come la promiscuita' non sia altro che una spasmodica ricerca di allontanare paradossalmente l'esperienza di abuso da se'. Durante l'adolescenza inizia ad avere rapporti sessuali con partner diversi.

Racconta che piu' erano gli uomini con cui andava, piu' forte era la percezione di poter controllare quel dolore, quella violenza subita durante l'infanzia. Marta era cosi' entrata nel tunnel della prostituzione e assumeva regolarmente droghe.

Il suo comportamento le faceva credere che fosse una sua scelta e questo le dava la sensazione di poter controllare le proprie emozioni riguardo all'abuso.

C'e' invece chi sostiene che la ricerca della promiscuita' sia in realta' una ricerca d'amore, ma nei modi sbagliati.

E tale promiscuota' puo' condurre alla prostituzione. In alcuni casi queste donne finiscono a lavorare come spogliarelliste negli strip clubs o diventano escort. Alcune entrano nel mondo della pornografia e spesso iniziano ad assumere alcool o droghe per sopravvivere.

Jenna invece, madre, moglie ed ex modella, sta cercando di uscire da quella che gli esperti adesso chiamano "sex addiction", ovvero la dipendenza dal sesso. Incontri a luci rosse hanno fatto parte, per molto tempo, sia della sua vita privata che di quella professionale. Alle spalle un passato di abusi sessuali, per mano del patrigno.

Per anni Jenna ha cercato incessantemente l'attenzione degli uomini per sedare, placare, quel dolore profondo causato dal trauma. Nell'intervista confessa "Ho cercato in tutti i modi di allontanare da me quelle emozioni dolorose che l'abuso aveva provocato. Come uno squalo che costantemente nuota per rimanere vivo. Passavo da una relazione all'altra, alla ricerca di quello spazio che potesse farmi sentire ancora come una bambina normale".

Anche dopo essersi sposata ed aver avuto un figlio, ha continuato comunque a ricercare esperienze sessuali, a discapito del matrimonio e della sua stabilita' fisica e psichica.

Ha iniziato a venirne fuori solo dopo aver cominciato a confrontarsi con la propria dipendenza e a parlare dell'abuso subito quando era ancora una bambina.

Per alcuni il comportamento promiscuo o la prostituzione sono una logica conseguenza dell'abuso sessuale, ma verrebbe da chiedersi, in effetti, cosi' come io stessa ho in un certo senso chiesto a Lara, perche' certe persone tendono ad assumere comportamenti che riattivano certe emozioni negative? Se da un lato sembra incomprensibile, dall'altro pero' e' estramemente comune. Eppure sembra che l'abuso sessuale subito durante l'infanzia venga maggiormente associato all'ipersessualita' e, addirittura, alla dipendenza sessuale piu' di quanto si possa pensare.

Praticamente il trauma causa una distorsione del se' e di conseguenza porta a ricercare relazioni che si rivelano disfunzionali o superficiali, relazioni in cui la vittima di abuso cerca conferme attraverso il sesso.

E' poi da notare come la sensazione di essere desiderati da un'altra persona diventi elettrizzante, eccitante, essenziale per la propria autostima. Il sesso non e' altro che un tentativo disperato di ottenere l'amore, di essere accettati, proteggendosi dall'abbandono e dal rifiuto.

Alcuni cercano di mantenere un certo controllo sul trauma, assumendo comportamenti compulsivi e sessualmente a rischio.

E' la storia di King, una giovane afroamericana che, dopo essere stata sessualmente abusata, ha iniziato a gestire il dolore attraverso la promiscuita'. All'inizio non comprendeva bene cosa la spingesse a ricercare costantemente dei ragazzi con cui andare a letto. Pur essendo fidanzata la sua ricerca era continua. In realta', e' lei stessa a dirlo, stava soffrendo moltissimo. Il suo rapporto con la sessualita' era diventanto disfunzionale. Nei periodi di break con il suo ragazzo, King andava letteralmente a caccia e utilizzava il suo sex appeal per manipolare gli uomini. Andava a feste o si intrufolava nei locali, anche sola, pur di rimorchiare un ragazzo e soddisfare i loro desideri. Riusciva a stabilire rapporti in 15 minuti o meno.

La realta' pero' e' che King era in una sorta di trappola dalla quale non riusciva a svincolarsi. A se stessa, cosi' come a coloro che le stavano intorno, la sua reazione sembrava illogica, ma e' lei stessa ad affermare che, molto spesso, non c'e' alcuna informazione sulle variabili che conducono una persona ad assumere un atteggiamento piuttosto che un altro. Detto piu' chiaramente. Di solito ci si aspetta che la vittima di abuso sessuale rifuggi ogni forma di contatto e quindi ogni rapporto intimo con l'altro sesso o con un potenziale partner, qualunque sia il suo orientamento sessuale. In realta', continua King, esiste una dualita'. Chi reagisce chiudendosi e chi invece, paradossalmente diremmo, ripete l'atto, l'esperienza di violenza.

E' lei stessa a dire "l'ipersessualita' fu il mio modo di riacquistare il controllo su me stessa, quel controllo perso la sera stessa in cui fui violentata. E' stato un po' come diventare il mio stupratore. Il sesso era un gioco e volevo la vittoria assoluta alla fine della serata".

Il suo reale tentativo era di affrontare il dolore e proteggere se stessa dalla possibilita' di rivivere il trauma.

La ragazza continua: "Il sesso era un modo per adescare uomini. E donne anche. Oltre che un modo per manipolarli. Con il sesso mettevo una certa distanza tra me e loro. Pensavo - se faccio subito del sesso, non costruisco nessun lugame emotivo. Non appena cominciavo a sentirmi dipendente, la mia reazione era quella di crearmi altri amanti. In ogni relazione affettiva cercavo di annullare l'altro".

Pero', c'e' da dirlo, la dipendenza sessuale non e' legata all'abuso di per se', per tutte le vittime di violenza. In poche parole, per alcuni il sesso, seppur ricercato con una certa frequenza, ha un'altra valenza. E' ad esempio una questione di chimica, una sorta di droga. Offre una ricompensa neurochimica al trauma subito. Un modo per fuggire da quella violenza. In questo caso il cervello viene inondato da serotonia, dopamina e adrenalina, un cocktail potente che fa aumentare il livello del piacere. La persona precipita in uno stato di benessere e di euforia.

Be', e' chiaro a tutti quanto sia complicato comprendere la mente umana. Come dicevo sopra, ognuno gestisce il trauma in maniera del tutto personale, in base alle proprie esperienze, educazione, personalita'.....

La nostra Lara ha trovato la sua strategia personale per sopravvivere, ma come spesso accade, se non si viene supportati, ascoltati, aiutati, si finisce per perdere ogni connessione con se stessi e con il mondo. Mai lasciare che accada. Mai.

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